Maschito è uno dei paesi di origine arbëreshë della Basilicata, insieme a Barile e Ginestra, nell’area del Vulture-Alto Bradano, e a San Costantino Albanese e San Paolo Albanese, entrambi nel Parco Nazionale del Pollino. All’interno della comunità di Maschito persiste l’uso della lingua albanese, che caratterizza il parlato quotidiano delle persone più adulte, come pure proverbi, detti e filastrocche per bambini, tramandati di generazione in generazione.

Dal 2010 a Maschito si svolge la rievocazione storica in costume arbëreshë denominata “Retnes” o “Retna”, nata per rafforzare i legami tra la popolazione locale e le sue radici albanesi, per recuperare la storia delle origini della comunità e risvegliare il senso di appartenenza e d’identità. La manifestazione, che si svolge ogni anno ad agosto e ha come ambientazione l’intero centro storico del paese, mette in scena, sulla base degli studi del prof. Vincenzo Pianoforte, le battaglie tra le due etnie fondatrici di Maschito: gli Albanesi Scuterini (soprannominati “cendregnàne”) e i Greci Coronei (soprannominati “maisòre”). A dare vita all’evento è il gruppo storico arbëreshë “Compagnia d’Arme Stradioti del capitano Lazzaro Mathes”.

Circa ottanta figuranti, vestiti con abiti e armi del Cinquecento ricostruiti dagli artigiani del luogo, compongono le due fazioni di soldati mercenari, che facevano parte della compagnia d’arme di Lazzaro Mathes, condottiero e capitano di ventura albanese. Prima di sfidarsi, i due gruppi sfilano separati per le vie del paese, ognuno nel proprio quartiere di appartenenza. Dopo la battaglia finale, la compagnia al completo, guidata dal suo capitano, si dirige verso la fontana Skanderberg, presso la quale avviene il giuramento delle truppe.

Gli stradioti capitanati da Lazzaro Mathes combattevano al servizio degli Spagnoli. Nei primi mesi del 1517 il capitano si rivolse al conte Raimondo da Cordova, vicerè di Napoli, facendo richiesta di assegnazione di una terra, dove i suoi soldati potessero vivere in pace ed essere raggiunti da mogli e figli rimasti in Albania. L’imperatore Carlo V nell’aprile di quello stesso anno acconsentì alla richiesta e assegnò, per meriti militari, a Lazzato Mathes e ai suoi uomini il casale disabitato di Maschito e altre terre da ripopolare, come Trivigno, San Chirico e San Costantino Albanese. In aggiunta concesse l’esenzione perpetua al pagamento delle tasse per i soldati. Il capitano, nello smistare i profughi, inviò nelle altre località gente non avvezza alle armi, mentre a Maschito fece insediare i militi della compagnia.

I primi soldati che abitarono Maschito provenivano dalla città di Scutari (nel nord dell’Albania) e si insediarono nella parte sud del paese. Nel 1532, a seguito della caduta definitiva in mano ai turchi ottomani della città di Corone (nel Peloponneso, in Grecia) e grazie al trattato di pace di Costantinopoli tra Carlo V e il sultano Solimano I, i difensori della fortezza furono autorizzati a lasciare la città e a imbarcarsi su navi spagnole per rifugiarsi in Italia. I profughi Coronei sbarcarono a Brindisi e un gran numero di essi si arruolò nella compagnia d’arme di Lazzaro Mathes. I Coronei erano Greci appartenenti a un ceppo etnico diverso dagli Albanesi, perciò si insediarono nella parte nord di Maschito. Tra i due gruppi etnici non correva buon sangue ed era raro che combattessero negli stessi reparti, a causa della loro organizzazione per “farre”, cioè per clan. Ogni clan era costituito da uomini provenienti dallo stesso ceppo familiare, che si tramandavano il mestiere delle armi di padre in figlio. L’antagonismo fra le due fazioni era alimentato dallo stesso capitano della compagnia, secondo un’antica consuetudine medievale che serviva a tenere costantemente addestrate le milizie.

Probabilmente la Retnes era in origine una giostra cavalleresca, istituita per festeggiare la fondazione della città arbëreshe. Prevedeva tre giri intorno alla piazza della Madonna del Caroseno e vedeva le due fazioni di stradioti divise in file separate, con cavalli bardati con pennacchi e finimenti fatti di damascati. Nel Settecento, dopo l’abolizione del rito greco-ortodosso in favore del rito latino e la conversione forzata da parte dei vescovi cattolici, la giostra fu trasformata in una processione, detta “cavalcata degli angeli”. Dedicata alla Madonna Incoronata di Foggia, ancora oggi si svolge nell’ultimo sabato di aprile. Al posto degli stradioti troviamo bambini vestiti da San Michele Arcangelo e bambine a rappresentare la Madonna. In origine montavano cavalli e muli, ora sostituiti da carri trainati da macchine agricole. La processione richiama alla memoria i pastori della transumanza, che nei loro spostamenti invocavano la protezione di San Michele. La cavalcata procede lentamente fino alla Chiesa del Caroseno, dinanzi alla quale vengono effettuati i rituali tre giri di devozione, accompagnati da canti e preghiere, prima della benedizione finale del parroco.

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Francesco Mastrorizzi

Giornalista pubblicista, scrive di cultura e intrattenimento per testate su carta e online. Da freelance si occupa di uffici stampa e comunicazione per artisti, associazioni, istituzioni e imprese. Lavora come consulente nell’ideazione, progettazione e gestione di eventi in ambito culturale. È esperto di social media management e web copywriting.