Il paese di Viggiano, in provincia di Potenza, vanta una particolare tradizione musicale, legata ad uno strumento, il cui uso non è attestato in nessuna altra area del territorio italiano: l’arpa. Si tratta, in particolare, di una piccola arpa diatonica portativa, leggera e facilmente trasportabile a spalla, senza pedali e spesso con meno di venti corde, che iniziò a diffondersi tra gli abitanti di Viaggiano, dediti in gran numero alla musica, alla fine del Settecento.
La tradizione dell’arpa è strettamente legata al fenomeno dei musicanti di strada, di cui è testimoniata la presenza già dalla seconda metà del Settecento nella città di Napoli, dove essi giungevano in occasione della novene per l’Immacolata e per il Natale. Questi musicanti erano impiegati principalmente in ambiti rituali e devozionali e sembra che fossero dei veri e propri specialisti, per alcuni dei quali la musica di strada costituiva l’impiego abituale, tanto che nel resto dell’anno continuavano a spostarsi di città in città. Esisteva a quei tempi, infatti, un’ampia richiesta di musica da parte della popolazione e i musicisti di strada, tra cui quelli viggianesi, seppero offrire un servizio in grado di soddisfare questo bisogno.
La propensione alla musicalità dei viggianesi ha radici profonde e rimanda ad una natura ricca di monti, boschi, sorgenti e corsi d’acqua, che evoca il mondo del mito. Ciò che caratterizzò i musicanti di Viaggiano e che concorse a renderli facilmente identificabili nelle strade e nelle piazze e a distinguerli dagli altri suonatori di strada fu appunto l’uso dell’arpa, che costituì quasi del tutto una loro prerogativa. A Viggiano erano presenti molte botteghe artigiane specializzate nella costruzione di questo strumento, la cui cassa armonica veniva prodotta con un legno autoctono, e tale competenza venne condotta ai massimi livelli mondiali nel Novecento dall’azienda fondata da Victor Salvi, nato a Chicago da madre viggianese e da padre veneziano, abile liutaio, recatosi proprio a Viggiano per la rinomata tradizione liutaia.
I musicisti girovaghi viggianesi si esibivano in piccole compagnie di tre o quattro elementi, tra cui quasi sempre c’erano anche uno o più bambini. Erano invece del tutto assenti le donne. Spesso i gruppi erano formati in base a vincoli familiari, ma la loro composizione poteva essere determinata anche da differenti necessità di tipo pratico. All’arpa venivano affiancati la viola, il violino e meno spesso il flauto, la zampogna e il triangolo, quest’ultimo utilizzato dai più piccoli.
Il repertorio che portavano in giro era un intreccio di motivi popolari (tarantelle, ballate, romanzi, ritornelli, novene natalizie, canzoni napoletane di successo) e arie d’opera di grandi maestri italiani (Rossini, Cimarosa, Bellini). Finivano così per essere una sorta di mediatori culturali tra classi sociali.
La loro musica poteva essere definita in termini di arte e allo stesso tempo di mestiere. Essi non erano istruiti alla musica, non avendola mai studiata, perciò suonavano ad orecchio. Il mestiere di musicante veniva trasmesso di padre in figlio e l’apprendimento avveniva in modo del tutto informale, al di fuori dei circuiti istituzionali.
Essere musicanti di strada significava dedicarsi ad un’attività itinerante basata su continui viaggi, intervallati da soste brevi nelle località raggiunte e da sistematici rientri al paese. Tali viaggi raggiungevano non solo le maggiori città d’Italia, ma anche quelle d’Europa e degli Stati Uniti, permettendo ai viggianesi di divulgare ovunque il nome del proprio luogo di provenienza. L’espressione “i Viggianesi” divenne ben presto un modo per designare una categoria sociale, fatta di viaggiatori infaticabili, portatori di saggezza popolare.
Nel corso della prima metà dell’Ottocento praticare la musica di strada per alcuni era la soluzione per sopravvivere ad una vita condotta ai limiti dell’indigenza, per altri un sistema per integrare economicamente le attività agricole. Alcune famiglie di musicisti riuscirono a raggiungere un’entità patrimoniale piuttosto considerevole, diventando un modello per altre famiglie, che intrapresero lo stesso percorso. Questo permise a molte famiglie viggianesi, nella seconda metà del secolo e ancor di più nei primi decenni del Novecento, di avviare i propri figli allo studio della musica nei conservatori di Napoli e di Roma. Fu così che la tradizione popolare si professionalizzò e i viggianesi riuscirono ad entrare nei circuiti musicali internazionali, arrivando ad esibirsi, nel corso della loro carriera, nelle orchestre e nei teatri più importanti del mondo.
Pubblicato su: da In Arte, anno V – num. 7 – luglio 2009, pagg. 8-11
2 commenti
stendhal34 · 10 Ottobre 2009 alle 22:35
Grazie per questo articolo. E’ stato esaustivo e utile ad arricchire i dati in mio possesso per una ricerca sui suonatori di arpa e violino della seconda metà dell’800
Francesco Mastrorizzi · 11 Ottobre 2009 alle 8:23
Grazie a te! Mi farebbe piacere leggere i risultati della tua ricerca.