La maggior parte delle persone lo conoscerà per i suoi successi sanremesi “Una musica può fare”, “Il timido ubriaco” e la recente “Il solito sesso”. Oppure per la canzone che lo portò alla ribalta nell’estate di dieci anni fa, “Vento d’estate”, o per il singolo successivo, “La favola di Adamo ed Eva”. Ma Max Gazzè è molto di più di quello che rappresentano queste canzoni, apparentemente popolari e di facile ascolto. Canzoni che sono state il mezzo attraverso cui ha potuto farsi conoscere a una platea vasta e variegata, non tradendo però mai se stesso. Un se stesso fatto di sperimentazione musicale e di estrema cura dei testi.
In lui si può dire che convivano due anime. Un’anima pop, disimpegnata, giocosa e scanzonata, tuttavia mai scontata e con una forte carica di ironia. L’altra più raffinata, dotta, sofisticata, innovativa. Anime che si riflettono nelle sonorità, a volte semplici e accattivanti, a volte complesse e moderne.
Cresciuto in Belgio, dove la passione per la musica lo porta a imparare a suonare il basso elettrico, e tornato a Roma nel ’91 dopo varie tournée in giro per l’Europa con diversi gruppi, attrezza un piccolo studio di registrazione e mette alla prova la sua creatività musicale, che in pochi anni lo porta a realizzare il suo primo album, pubblicato nel ‘96.
Fin dagli inizi Max Gazzè si caratterizza per la capacità di mettere il testo al centro delle canzoni, privilegiando una ricerca linguistica e lessicale in grado di rompere lo schema tradizionale di costruzione della canzone. Una ricerca molto vicina a quella poetica, con risultati talvolta di un estremo lirismo, ma sempre ancorata al presente e ai suoi linguaggi.
La ricerca si concentra anche sull’aspetto ritmico e musicale. Gazzè infatti ama creare musica utilizzando i suoni e le melodie più disparati, prodotti con qualsiasi tipo di strumento o macchina musicale. Ne risulta uno stile spiccatamente personale, che trae ispirazione da un’ampia gamma di fonti e dà vita a canzoni molto diverse tra loro per impostazione melodica e atmosfere strumentali.
Il suo segno distintivo resta comunque l’originalità nella stesura dei testi, che risultano lineari, ma allo stesso tempo linguisticamente ricchi e pieni d’inventiva, profondi, ma di presa immediata. Testi nella stragrande maggioranza dei casi scritti a quattro mani da Max assieme al fratello Francesco, poeta e scrittore per diletto.
Il punto di partenza di ogni brano quasi sempre è proprio il testo, attorno al quale viene costruita la canzone. Le parole sono scelte con grande attenzione, cercando termini inusuali e le espressioni più evocative, che rimandano a significati “altri” e che possono essere interpretati a seconda della propria sensibilità ed esperienza. I sostantivi vengono accostati a verbi o aggettivi in modo insolito, con l’effetto di creare straniamento nell’ascoltatore. I versi sono pieni di giochi, a volte surreali, di astuzie lessicali, figure retoriche, allitterazioni, assonanze. Una poetica a tratti geniale che può sfociare nel frammento, nella descrizione di immagini o di stati d’animo. Spesso introspettivi, tanti brani sono piccoli affreschi di momenti di vita quotidiana.
Dal punto di vista dei contenuti troviamo da un lato canzoni intimiste o che indagano la condizione esistenziale e le contraddizioni della società, dall’altro canzoni che trattano l’amore, senza però cadere nella banalità a cui questo argomento facilmente induce.
Un modo di fare musica, in sintesi, che è specchio di una personalità allo stesso tempo estroversa e riflessiva, ma in ogni caso fuori dalla norma.
Pubblicato su: In Arte, anno IV – num. 8 – settembre 2008, pagg. 24-25
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