Ambienti chiusi, domestici, stanze popolate di oggetti, tra cui sedie come protagoniste; le piccole cose in cui ci imbattiamo quotidianamente, discrete presenze che accompagnano le nostre giornate: sono questi alcuni dei soggetti privilegiati delle opere di Giulia Huober (Bagno a Ripoli, 1983), artista dalla poetica delicata e raffinata, il cui sguardo scruta nell’inanimato alla ricerca dello spirituale, grazie ad una sensibilità modellata su maestri del Novecento come Sironi, Carrà, Casorati e Cremonini.

Domina nei dipinti di Giulia Huober un silenzio statico, caricato dall’assenza umana, che ben si accorda all’uso austero del colore, spesso tendente al monocromatico, quasi a simboleggiare un’esigenza di introspezione. Ne scaturisce un acuto senso di sospensione, che si può ravvisare anche nelle raffigurazioni di paesaggi naturali o architettonici, dove la gamma dei colori si fa più ricca, pur continuando a soffermarsi su tonalità meste. Due sono i binomi cromatici che prevalgono nel suo linguaggio pittorico: quello più malinconico dell’azzurro accostato al verde (che può richiamare alla mente il periodo blu di Picasso) e quello più distensivo dato dall’arancione in combinazione con il rosa. Sempre, però, sono esplicitamente eluse la brillantezza e la vividezza.

Sapiente è la capacità di far dialogare il colore con il supporto pittorico, prevalentemente costituito da carta intelata, materiale che permette di creare originali effetti di luce mediante l’applicazione di tempere, oli o gessetti, anche combinati assieme. Una sperimentazione tecnica, questa, che diventa maggiormente efficace quando può spaziare su grandi dimensioni e che si realizza a partire da una preparazione di fondo casuale, dalla quale l’artista fa scaturire le figure. Questo modus operandi fa sì che le immagini siano costruite attraverso la combinazione di colori e forme, riuscendo a limitare non solo il disegno, ma anche l’uso del chiaroscuro per dare effetti di rilievo, creando, di contro, l’illusione prospettica attraverso la sovrapposizione di piani bidimensonali.

Assenti in gran parte della produzione di Giulia Huober, le figure umane e il disegno fanno la loro comparsa nelle opere di arte sacra, ambito nel quale ha perfezionato i suoi studi post-accademici, di cui sono da apprezzare anche le insolite costruzioni figurative, e in una serie dedicata ai bagnanti. Il disegno è il mezzo espressivo, ma anche l’ispirazione, di un’altra serie più recente, che omaggia colui che del disegno è stato il più grande maestro: Michelangelo. L’osservazione dei suoi fogli, ma anche dei Prigioni conservati nella Galleria dell’Accademia di Firenze, è servita da stimolo all’indagine del corpo umano nella sua plasticità ed ha fornito un pretesto di tipo visivo per continuare ad elaborare un discorso artistico incentrato sugli oggetti, nel caso specifico rappresentati da statue, che mira a coglierne l’anima.

Pubblicato su: In Arte, anno X – num. 70, pagg. 20-21

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Francesco Mastrorizzi

Giornalista pubblicista, scrive di cultura e intrattenimento per testate su carta e online. Da freelance si occupa di uffici stampa e comunicazione per artisti, associazioni, istituzioni e imprese. Lavora come consulente nell’ideazione, progettazione e gestione di eventi in ambito culturale. È esperto di social media management e web copywriting.

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