A ovest del colle che ospita Forenza, nell’alta valle del lucano fiume Bradano, sorgono i ruderi della piccola chiesa dedicata a Santa Maria degli Armeni, alle falde del monte che porta il suo stesso nome. Non si sa esattamente quando l’edificio sia stato fondato; probabilmente le sue origini risalgono all’XI secolo. Secondo alcuni sarebbe la testimonianza della presenza nella zona di monaci armeni, fuggiti dalla loro terra in seguito alle lotte iconoclastiche. Secondo altri la sua dedicazione sarebbe da collegare al culto di un’effige della Madonna, giunta dall’Oriente bizantino al termine di una crociata.

Le prime notizie sulla chiesa sono contenute in un documento conservato nell’archivio dell’abbazia di Montevergine, che attesta una compravendita tra privati, avvenuta nel 1196, di una vigna nelle sue vicinanze. Un successivo riferimento lo troviamo in un atto di permuta del 1202, in cui si cita il giudice Demetrio come patrono e governatore di Santa Maria degli Armeni, che quindi risulta essere una chiesa privata. Altro dato certo è che nel 1219, alla morte del conte Giacomo di Tricarico, della famiglia dei Sanseverino, Santa Maria venne donata ai monaci di Montevergine, assumendo così la funzione di grancia (comunità agraria dell’abbazia), oltre a garantire, per la sua collocazione in una zona rurale, assistenza spirituale a quanti lavoravano nel contado.

Sul finire del XIII secolo, grazie alle ingenti donazioni che ne incrementarono il patrimonio fondiario, la grancia fu trasformata in priorato, con la conseguente costruzione di un monastero per ospitare i monaci inviati da Montevergine allo scopo di amministrarne i possedimenti. Le fortune di Santa Maria degli Armeni continuarono fino alla prima metà del ‘500 e le sue proprietà divennero sempre più consistenti. Successivamente, però, iniziarono a riscontrarsi difficoltà economiche, tanto che nel 1567 Papa Pio V inserì il piccolo monastero di Forenza fra gli edifici destinati alla soppressione (i monasteri verginiani secondo le sue direttive passarono da 50 a 18). L’esecuzione avvenne nel 1596, con il nuovo declassamento a grancia, alle dipendenze prima di Montevergine e poi del convento di Sant’Agata di Puglia, fino all’anno 1807.

Attualmente del monastero, realizzato interamente in pietra, non rimangono che le mura portanti della chiesa e piccoli resti di fabbriche annesse, risalenti probabilmente all’ampliamento del XIII secolo. La chiesa è costituita da un’unica navata con un solo altare e due ingressi, uno in asse e l’altro laterale. Due arcate dividono la navata in tre campate, delle quali le prime due avevano una copertura a capanna, la terza a crociera. Nell’abside sono presenti anche altre differenze strutturali, che fanno pensare a due momenti diversi nella costruzione della chiesa. Il piano di calpestio è infatti più alto di circa 20 cm rispetto al resto dell’edificio, ma appaiono diverse anche le aperture sulle pareti laterali (nell’abside sono a croce greca) ed esternamente le soluzioni tipologiche adottate nella costruzione dei cornicioni. In diversi punti le mura presentano frammenti di pitture parietali, che probabilmente decoravano tutto l’interno della chiesa.

Alla chiesa era affiancato un campanile, tuttora identificabile, al quale si accedeva da un’apertura subito a destra dell’entrata principale. Recenti lavori di scavo sul fronte est dell’edificio hanno portato alla luce, sotto l’ingresso, una antecedente struttura presbiterale, permettendo di identificare l’impianto originario della chiesa, con ingresso sul lato ovest e orientamento opposto a quello dell’edificio oggi visibile.

Pubblicato su: In Arte, anno VIII – num. 2 – marzo 2012, pagg. 5-7


Francesco Mastrorizzi

Giornalista pubblicista, scrive di cultura e intrattenimento per testate su carta e online. Da freelance si occupa di uffici stampa e comunicazione per artisti, associazioni, istituzioni e imprese. Lavora come consulente nell’ideazione, progettazione e gestione di eventi in ambito culturale. È esperto di social media management e web copywriting.

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