Fino al 29 settembre le sale del Palazzo Mediceo di Seravezza, in Versilia, accolgono la mostra “Cultura della terra in Toscana, mezzadri e coltivatori diretti nell’arte dell’Ottocento e Novecento”. Più di cento opere, in gran parte dipinti, oltre a sculture e disegni, raccontano la campagna toscana tra secondo Ottocento e primo Novecento, illustrando vita, costumi e abitudini delle locali popolazioni contadine, alla luce del complesso fenomeno della mezzadria, una realtà di produzione agricola (contraddistinta dalla partecipazione dei coltivatori agli utili del raccolto) che ha caratterizzato per secoli i territori toscani.

In esposizione opere di grandi artisti come Silvestro Lega, Giovanni Fattori, Lorenzo Viani, Ardengo Soffici, Baccio Maria Bacci, Raffaele De Grada, Ottone Rosai, Memo Vagaggini, ma anche due capolavori rimasti per decenni inaccessibili al pubblico: Ritorno dalla fiera di Egisto Ferroni e Le ultime vangate di Angiolo Tommasi.

Le opere in mostra scrutano in profondità il mondo rurale toscano, cogliendo tutti i momenti della vita quotidiana dei mezzadri, i loro gesti semplici, quelli connessi alla stagionalità del lavoro nei campi e quelli legati alle feste familiari o alle ricorrenze religiose, ma anche tutto ciò che li circonda, i paesaggi, gli animali, gli strumenti. Un microcosmo fatto di ambienti umili e intimi e popolato di uomini e donne dal destino segnato, immobili quasi come nei quadri che li rappresentano, ma portatori di una dignità che solo il duro lavoro sa conferire; un mondo affascinante dal sapore antico che ogni artista ha raffigurato sulla tela secondo la propria poetica e all’interno di filoni iconografici talvolta antitetici.

Il ricco e suggestivo percorso espositivo analizza appunto questi filoni, prendendo le mosse dai macchiaioli fino ad attraversare la crisi di questo movimento e approdare alla pittura naturalistica, che restituisce verità oggettiva alla vita delle classi rurali, attraverso tele spesso di grandi dimensioni e dal tono rassicurante. Sul finire dell’Ottocento, invece, viene documentata una tendenza alternativa, dagli intenti sociali, che preferisce insistere sul dolore e sulla fatica dei contadini.

Con l’inizio del Novecento aumenta nelle opere esposte la complessità e la diversità di interpretazione del tema trattato, per cui immagini di desolazione e miseria si alternano a vedute mitiche e atemporali, per poi lasciar spazio, nel dopoguerra, a figure e volti carichi di solennità. Ed è qui che si chiude la mostra, nel momento in cui, con la fuga dalle campagne, ha inizio il dissolvimento del fenomeno della mezzadria.

Pubblicato su: In Arte, anno V – num. 9 – settembre 2009, pagg. 20-21

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Francesco Mastrorizzi

Giornalista pubblicista, scrive di cultura e intrattenimento per testate su carta e online. Da freelance si occupa di uffici stampa e comunicazione per artisti, associazioni, istituzioni e imprese. Lavora come consulente nell’ideazione, progettazione e gestione di eventi in ambito culturale. È esperto di social media management e web copywriting.

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