Dalle arti visive alla poesia, dall’architettura alla danza, l’arte orientale è sempre stata qualcosa di diverso rispetto alle forme espressive occidentali. Un’idea di leggerezza e di apparente semplicità la caratterizza da sempre e le ha permesso di suscitare un notevole fascino sul mondo occidentale.
Una delle arti maggiormente rappresentative dell’Oriente è la xilografia, tecnica di incisione che ha raggiunto i suoi picchi artistici in Giappone, dove è giunta dalla Cina nell’VIII secolo. Rimasta per secoli confinata nei monasteri buddisti, dove viene utilizzata per la composizione di stampe per testi sacri, trova funzione artistica a partire dal Seicento, in seguito alla pacificazione del Giappone e alla formazione, con il fiorire dei commerci, di una classe mercantile e imprenditoriale cittadina.
Con il sorgere della nuova cultura borghese, infatti, si sviluppa una corrente artistica conosciuta con il nome di ukiyoe (letteralmente “pitture del mondo fluttuante”), che ne condivide gli ideali estetici e che domina l’arte della xilografia tra il XVII e il XIX secolo. L’ukiyoe diviene il termine per indicare un nuovo mondo, un modo di vivere all’insegna dei piaceri effimeri, fluttuanti appunto, come l’arte, la moda, il teatro “leggero”, il sesso.
Il grande merito della scuola ukiyoe è quello di finalizzare la xilografia non più all’iconografia della religione buddista, ma all’illustrazione di temi profani, contribuendo a creare il ritratto di una società vivace ed esuberante, anticipatrice del mondo moderno. Il suo ricco repertorio è costituito prevalentemente da immagini ispirate al teatro popolare kabuki, da ritratti di attori famosi e di cortigiane, da scene di genere, temi familiari, vedute di paesaggio.
Prima in bianco e nero e poi a colori, la stampa ukiyoe si afferma come mezzo espressivo autonomo. La produzione è di facile accessibilità e di larga diffusione, con tirature di migliaia di copie e un livello qualitativo altissimo. Nell’arco di quasi tre secoli i pittori dell’ukiyoe realizzano opere determinanti per la formazione dell’arte moderna, che andranno a influenzare fortemente gli artisti europei (da Degas a Monet, da Manet a Renoir, da Toulouse-Lautrec a Van Gogh) e in particolare quelli delle avanguardie francesi.
Sicuramente uno dei momenti più alti per il movimento dell’ukiyoe è costituito dall’opera di Hiroshige Utagawa, nome d’arte di Ando Tokutaro (1797-1858). Appartenente a una famiglia di samurai di basso rango di Edo (l’attuale Tokyo), a tredici anni entra a far parte della famosa scuola di pittura Utagawa, dove fino al 1830 crea stampe nello stile tradizionale appreso dal maestro Toyohiro (1773-1828), utilizzando alcuni temi tipici del repertorio dell’arte ukiyoe: belle donne, attori, guerrieri del passato.
Intorno al 1830 Hiroshige sperimenta la pittura paesistica, dapprima imitando il “grande vecchio” Katsushika Hokusai (1760-1849), che ha da poco pubblicato le sue “Trentasei vedute del monte Fuji”, poi tentando una propria strada nell’interpretazione del paesaggio, che lo porta all’elaborazione di uno stile personale che gli dà immediatamente ampia fama.
Con la serie di vedute create tra il 1833 e il 1834 dal titolo “Le cinquantatre stazioni di posta della Tokaido”, da molti considerata il suo capolavoro, ottiene un enorme successo commerciale, che lo spinge a indirizzare da questo momento in poi la sua ricerca pittorica principalmente verso il paesaggio. La consacrazione definitiva si ha nel 1837 con “Le sessantanove stazioni di posta del Kisokaido”, serie già iniziata da Keisai Eisen (1790-1848) e a cui Hiroshige subentra, creando 47 delle 71 tavole.
Mentre nell’ukiyoe tradizionale veniva privilegiata la figura umana rispetto al paesaggio, nelle vedute di Hiroshige si può notare una profonda armonia di tutte le componenti. In questo senso il suo approccio alla natura assume un carattere religioso, in quanto basato sulla concezione dell’unità dei diversi elementi del paesaggio in una comune forza universale. Ciò si esprime nelle sue opere attraverso uno stile in cui le figure umane, ritratte nello svolgimento delle attività quotidiane, sono equilibratamente rapportate agli elementi naturali, quasi a voler creare una similitudine tra uomo e natura.
Negli ultimi anni della sua vita produce nuove importantissime serie paesistiche, tra cui l’altro capolavoro “Cento vedute di luoghi celebri di Edo”, stampato tra il 1856 e il 1858. Questa serie, la più vasta mai realizzata nell’ukiyoe, si caratterizza per l’impiego di forti elementi in primo piano, che attirano l’attenzione dell’osservatore, per poi convogliarla verso la scena in secondo piano.
Anche dopo la morte di Hiroshige le sue stampe continuarono a essere tirate a migliaia di copie. Ritraendo i luoghi più belli del Giappone, queste incisioni contribuirono a radicare il sentimento di appartenenza al proprio Paese in strati sempre più larghi della popolazione, grazie sicuramente alla loro facile fruizione, ma soprattutto alla forte suggestione visiva, che ne faceva un efficacissimo strumento di comunicazione.
Come altri artisti dell’ukiyoe, Hiroshige ebbe anche la capacità di influenzare i pittori europei del secondo Ottocento, impressionisti e post-impressionisti in primis, i quali si ispirarono alla sua interpretazione dei colori e delle luci, al suo modo di rappresentare i fenomeni atmosferici (pioggia, nebbie, brume) e ne apprezzarono la visione delle cose, il modo di concepire la natura. Il caso più celebre è quello di Vincent Van Gogh, che si ispirò profondamente alla sua tecnica e alle sue tematiche e riprodusse in modo fedele alcune sue opere.
Per chi volesse ammirare dal vivo le stampe di Hiroshige Utagawa, fino al 7 giugno al Museo Fondazione Roma, in via del Corso, saranno esposte 200 delle sue opere, nella prima mostra a lui dedicata in Italia dal titolo “Hiroshige. Maestro della natura”.
Pubblicato su: In Arte, anno V – num. 4 – aprile 2009, pagg. 27-29
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