SARONNO (VA) – Una testimonianza artistica della condizione di isolamento che comporta la malattia mentale. È quella che troviamo nei ritratti realizzati da Furio Cavallini negli anni ottanta agli ospiti dell’ex manicomio di Trieste. Dal 10 al 24 ottobre 2021, alcuni di quei disegni saranno esposti all’interno della mostra “Purgatorio. I sospesi”, che inaugura sabato 9 ottobre alle ore 16 nella Sala Nevera di Casa Morandi a Saronno. Organizzata in occasione del 700° anniversario della morte di Dante dall’Associazione Flangini, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Saronno, la mostra, a cura di Elisa Favilli e Cristina Renso, con l’intervento di Diego Furgeri, vuole omaggiare la figura di Furio Cavallini in vista dei dieci anni dalla sua scomparsa.
Al vernissage, che anticiperà di un giorno la giornata mondiale della salute mentale del 10 ottobre, saranno presenti alcuni ragazzi dell’Accademia del Profondo, per una breve dimostrazione del loro recente lavoro sull’Inferno di Dante, e la figlia dell’artista, Giulia Cavallini, che racconterà della singolare esperienza vissuta dal padre nell’ex ospedale psichiatrico di Trieste, dove Franco Basaglia aveva esercitato fino alla chiusura. Inoltre, saranno letti alcuni testi degli scrittori Luciano Bianciardi, Carlo Cassola e Mauro Furgeri, amici di Furio Cavallini.
Pittore molto noto dalla metà del secolo scorso, Furio Cavallini ha intensamente lavorato tra Toscana, Lombardia e Friuli. Da artista provocatorio, già negli anni sessanta coglie le contraddizioni di un eccessivo sviluppo economico che porta all’alienazione dell’uomo e all’estenuazione fisica fino alla malattia. D’altro canto la malattia è un’esperienza che l’artista conosce nel 1955-56, quando viene ricoverato al sanatorio di Firenze. Anche in questa situazione di sofferenza l’artista disegna “furiosamente”: attraverso rapidi, ma intensi schizzi ritrae gli altri pazienti. «Descrive senza parole la fugacità del tempo, la bellezza dell’anima. Firenze apprezza i suoi lavori. Qui realizza una serie di mostre che premiano il suo punto di vista critico e la sua capacità di raccontare il tempo sospeso nell’immobilità di un quotidiano fatto di particolari.» (Elisa Favilli)
La mostra dedica un’intera sezione ai ritratti dei malati dell’ex manicomio nel Parco di San Giovanni a Trieste, dove nel 1987 Cavallini si rifugia, trasferendovi il suo studio, lasciata Milano a seguito di una crisi creativa. In neanche un anno realizza numerosi dipinti e disegni che ritraggono gli ultimi ospiti dimenticati nella struttura psichiatrica ormai chiusa, cogliendo la loro condizione “purgatoriale”: «Sospesi tra una vita malata e “la vita sana”, spettatori indifesi e inermi di esistenze altrui. I rami degli alberi diventano sbarre che li escludono dalla realtà e con essi l’artista che ne condivide l’esperienza: attraverso le finestre essi possono solo osservare il mondo e la vita che scorre poco lontano nel parco divenuto pubblico.» (Cristina Renso)
In esposizione anche opere a olio, tra cui vedute e nature morte, nelle quali si avverte lo stesso senso di abbandono dei ritratti, che diventa “attesa” nella rappresentazione della giacca, «la cui forma sembra alludere a un ritorno, a un’assenza-presenza.» (Cristina Renso)
Dalla sintonia di pensiero con lo scrittore Luciano Bianciardi e dalla loro amicizia nasce uno dei temi fondamentali della sua arte. La natura disabitata diventa un tema morale, che si contrappone alla realtà milanese contemporanea e all’ottimismo economico di quegli anni, che vedono «un oceano di gente che quotidianamente la vive muovendosi dentro un paesaggio segnato dalla scansione delle case e dei grattacieli, da un centro che si perde dentro i nuovi quartieri e le sue numerose periferie. Qui la campagna è inesistente.» (Elisa Favilli)
Committente: Associazione Flangini